Game over | 05 - 11 dicembre 2025
Le migliori long read dall’Italia e dal mondo
Perché l’AI scrive… così?
di Sam Kriss sul New York Times Magazine
Se almeno fosse robotica! E invece i chatbot hanno sviluppato una voce inconfondibile – e irritante.
Nel silenzioso ronzìo della nostra èra digitale, sta emergendo una nuova voce letteraria. La si ritrova ovunque: nelle pagine dei romanzi più venduti, nelle colonne dei giornali locali, perfino sui menu del take-away. Eppure l’autore non è un essere umano, ma un fantasma: un sussurro intessuto dagli algoritmi, una creatura di codice. La scrittura generata dall’intelligenza artificiale, un tempo eco distante di fantasie fantascientifiche, oggi è dappertutto: ordinatamente confezionata, brevemente apprezzata e continuamente riciclata.
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Una grande battaglia per una lingua molto piccola
di Simon Akam sul New Yorker
Tra le Alpi svizzere, un progetto per mettere ordine nel romancio – una lingua parlata da meno dell’1 per cento della popolazione – ha scatenato una disputa lunga decenni su identità, appartenenza e sulla vera voce dell’autenticità.
Perché i talebani stanno tornando a essere accettati
di Humza Jilani, Andres Schipani, Anastasia Stognei e Edward White sul Financial Times
Rimasto isolato dal 2021, il gruppo islamista sta ricostruendo i suoi rapporti con molti paesi, nonostante un duro scontro con il Pakistan, da sempre suo grande sponsor. Un’inchiesta.
L’uomo della Silicon Valley alla Casa Bianca favorisce se stesso e i suoi amici
di Cecilia Kang, Tripp Mickle, Ryan Mac, David Yaffe-Bellany e Theodore Schleifer sul New York Times
David Sacks, lo zar di AI e criptovalute all’interno dell’amministrazione Trump, ha contribuito a formulare politiche che avvantaggiano i suoi amici della Silicon Valley e molti dei suoi stessi investimenti tecnologici. Un’indagine.
La perdita di memoria di mia madre, e la mia
di Anna Holmes sul New Yorker
Il mio gatto, Harriet, è accucciato sul mobile del televisore quando entro in salotto. Mi sbatte le palpebre. Si dice che i gatti che ti strizzano gli occhi mostrino affetto. Io ricambio il gesto.
“Guarda te sul… ”.
Mi interrompo. Su cosa è seduta? Un armadietto? Una mensola? Ci metto circa cinque secondi a ricordare la parola.
“Mobile del televisore”, dico infine.
Quando ho iniziato a dimenticare le parole all’incirca verso la mezza età, mi sono chiesta se fosse menopausa – e temevo che fosse qualcosa di più grave. Un saggio personale.
Sospettavo che un killer nascosto si annidasse nel mio corpo. Ecco cosa ho scoperto
di Dana Milbank sul Washington Post
Come molte tecnologie emergenti, una risonanza magnetica total body può migliorare le nostre vite, rendercele miserabili o entrambe le cose. Nessuno sa ancora quale delle due prevarrà. Un saggio personale.
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Stiamo diventando più stupidi?
di Joshua Rothman sul New Yorker
La stupidità è eterna – e più complessa di quanto pensiamo.
Rituales nell’èra dei fandom e dello streaming
di su Beat and Love
Oggi le classifiche non sono mai solo numeri: sono lo specchio di cosa unisce davvero le community, quali estetiche forgiano la loro identità collettiva e quali valori le mantengono insieme. Offrono uno spaccato di come evolve la società, anno dopo anno, e spiegano perché sentiamo il bisogno di condividere pubblicamente i nostri gusti musicali: il pop è la religione, Spotify è il tempio, lo streaming un atto di fede, il Wrapped il rito collettivo.
Come la musica è diventata un linguaggio identitario.
Beat and Love è un progetto editoriale di Laura Fontana, prodotto da NightReview e NR edizioni. Fenomenologia online e sociologia digitale, content economy e pop culture, piattaforme social e shitstorm. Iscriviti alla newsletter.
Come lo stadio è diventato un posto di lusso
di John Seabrook sul New Yorker
Al SoFi Stadium di Los Angeles e al Capital One Arena di Washington, D.C., le suite più esclusive possono essere affittate per circa un milione di dollari all’anno.
La corsa a offrire esperienze sempre più sfarzose negli impianti sportivi più grandi d’America sta cambiando il modo in cui i tifosi vivono l’evento? Un’indagine.
“Tua!”
di Giorgia Mecca su Mezza Riga
La prima immagine è una domenica di quasi estate, la stagione dei pomeriggi infiniti e della terra rossa. Il Tour si gioca in Europa, Monte Carlo inaugura il periodo più bello dell’anno e quando la TV non è accesa sul tennis, a tennis si gioca. È l’inizio degli anni Duemila, e se penso al tennis giocato e visto da vicino, penso a quattro ragazzi vestiti di chiaro che giocano un doppio. A quel tempo i club non erano accademie ma circoli ricreativi, esistevano gli affiliati e non le app che cercano campo, orario e avversario favorendo la dispersione, si organizzavano i tornei sociali, quasi sempre di doppio, spesso di doppio giallo, con sorteggio casuale delle coppie. Era quella la vera iniziazione al gioco. Lì si incontravano i pallettari, gli iracondi, i pontificatori, quelli con la racchetta di Pete Sampras, quelli che ti tiravano addosso, quelli che si giravano e gettavano le occhiatacce ai compagni alla fine di ogni punto perso, quelli che rubavano i 15, e poi quelli che volevano semplicemente farsi un’ora con gli amici.
Negli anni il doppio ha perso fascino e oggi viene percepito come un tennis minore. Perché fatica ad attirare pubblico e copertura televisiva? E si può fare qualcosa per salvarlo?
Ritratti, reportage, approfondimenti e saggi personali firmati da autori diversi per ogni numero: Mezza Riga è una newsletter di giornalismo letterario sul tennis. Curata da Simone Spetia, prodotta da NightReview e NR edizioni. Iscriviti alla newsletter, è gratuita.












